Numerose sono le fotografie scattate in atelier, fucina creativa del fotografo e soprattutto del pittore, che spesso incorporano riproduzione di quadri e lo stesso Emanuele Cavalli intento a dipingere da solo o con la compagnia degli allievi. Queste immagini ricostruiscono un universo artistico in cui alla componente più propriamente creativa si intreccia la complicità e la presenza di figure care e familiari. Le immagini in studio sono particolarmente interessanti, oltre che per l’indubbia componente estetica, perché restituiscono con immediatezza tutto l’universo creativo dell’artista, le sedute con i soggetti ritratti, il rapporto con le allieve, la preparazione delle opere e l’allestimento delle nature morte.
In Ritratto di Laura, 1970, l’immagine fotografica si confronta con quella pittorica: nello spazio della foto sono presenti Cavalli intento ad ultimare il ritratto di Laura, una sua allieva, la stessa Laura, sorridente laddove nel suo ritratto mostra un’espressione assorta, e il quadro. Esistono numerose altre foto di Laura accanto ai propri ritratti, come in una “sfida” tra la sua identità reale e quella che l’artista coglie e rende in valori visivi, e soprattutto cromatici, sulla tela. Lo stesso processo avviene per ritratti che vedono protagoniste altre modelle e allieve: nel Ritratto di Anna Sara, 1970, oltre a Cavalli e alla sua allieva Anna Sara, modella del ritratto che il pittore sta ultimando, sono presenti tutti quegli oggetti che costituiscono il vocabolario figurativo a cui l’artista attinge tanto per le sue nature morte pittoriche quanto per quelle fotografiche. Un intero repertorio di tazze, brocche, fiori secchi, mestoli che si traspongono in composizioni vibranti, animate da un colore denso e pastoso, che sembrano veri e propri ritratti degli oggetti, immersi in un’atmosfera di lirica sospensione. Di questo processo di traduzione visiva è un esempio, Natura morta, 1973, un autoscatto nato dalla volontà di Cavalli di sperimentare un filtro, in cui il volto del pittore si accosta vicinissimo alla tela su cui è rappresentata una natura morta di tazza e teiere, di cui sembra di avvertire tutta la ricchezza materica e, pur nel bianco e nero dello scatto, il cromatismo squillante e denso che, come in tutta la produzione tarda del pittore, sembra travalicare i confini degli oggetti e costruire plasticamente tutta la composizione. Natura morta, inizi anni ’70, offre un’esemplificazione delle modalità con cui Cavalli allestiva le sue nature morte: gli oggetti, in questo caso libri e vasellame, sono disposti su un tavolo, coperto come la parete, da un panno nero che sembra conferire agli oggetti una singolare caratterizzazione teatrale. Una splendida natura morta dall’ironico titolo Caffettiere a congresso, campeggia alle spalle di Emanuele in due fotografie, in cui gli oggetti rappresentati sulla tela trovano corrispondenza in quelli reali e tangibili disposti sugli scaffali alle loro spalle. Le fotografie realizzate in studio offrono spunti di analisi proprio nel confronto tra le nature morte pittoriche e quelle fotografiche. Le composizioni fotografiche, pur servendosi spesso dello stesso vocabolario figurativo di quelle pittoriche, esacerbano la componente surreale che quest’ultime già presentano in nuce. In entrambi i casi, Cavalli dimostra una fortissima sensibilità quasi empatica nei confronti degli oggetti e una raffinata capacità di tradurli in valori visivi, affidandosi al colore e alla luce. Le cose, nei suoi dipinti e nelle sue fotografie non sono semplicemente riprodotte, ma diventano protagoniste di composizioni vibranti ed enigmatiche, attraversate da un misterioso silenzio per cui sarebbe corretto parlare più che di natura morta di stilleven con la sua connotazione semantica più legata al silenzio, all’immobilità ma anche alla vita. Gli oggetti di Cavalli sembrano infatti intessere tra loro un dialogo musicale, in un gioco di corrispondenze ritmiche tra suono e silenzio, come quello che si instaura tra le diverse forme geometriche che scandiscono lo spazio delle sue composizione. Le sue nature morte sono in grado di coniugare così una dimensione sottilmente metafisica con un’aria “domestica” che si spiega con il ricorso al repertorio quasi fisso di oggetti che si è visto popolare il suo studio.