Le fotografie in esterni di Emanuele Cavalli si sono rivelate tra le immagini più interessanti a livello estetico e compositivo. Sono proprio quelle che mostrano tutta la dimestichezza dell’artista con il mezzo fotografico e il suo rigoroso senso della composizione e che rivelano in nuce l’aspetto surrealista tanto magnificato dalla critica nelle nature morte. È nelle immagini di giostre silenziose, di file di panni stesi al sole, di figure umane solitarie che si coglie la vicinanza di Cavalli con la poetica del “surrealismo” fotografico di Bresson e del gruppo dei XV. Un surrealismo che nasce da brandelli di prosaica realtà inquadrati in una composizione visiva geometrica ed equilibrata, in cui sono le lunghe ombre e la luce abbacinante a conferire un carattere sospeso all’intera immagine. Momento di vita recupera un soggetto iconografico, quello della giostra, che affascina da sempre l’immaginario dei fotografi surrealisti. Quella di Cavalli è un’immagine priva tanto dell’aspetto immaginifico della Parigi dei sogni di Izis, quanto di quello perturbante, di matrice surreale di Atget, mostra invece una vicinanza con la sensibilità malinconica, della giostra solitaria e un po’ spettrale, battuta dalla pioggia, protagonista della fotografia Le Manège de Monsieur Barré di Doisneau. Come i fotografi surrealisti, Cavalli riesce a cogliere nella realtà, con intuizione lirica, dei brani di suggestiva poesia metafisica e a inquadrali in un’immagine di sapore surrealista. Si è più volte sostenuto come Cavalli riesca a conferire una componente di magia anche alle immagini realizzate fuori dallo studio, immagini non controllate, in cui la fantasia creatrice dell’artista deve applicarsi al dato fenomenico e contingente. Se le fotografie in studio, le nature morte allestite, sono forse quelle più surrealiste, per l’uso straniante delle ombre drammatiche, per l’accostamento incongruo di oggetti molto diversi tra loro, per la presenza di maschere e di bambole, quelle “colte” in esterno, riescono con più immediatezza a rendere i momenti di magico stupore, di lirico incanto, in cui lo sguardo del fotografo è in grado di trasfigurare la realtà, di conferire un afflato poetico anche ai più trascurabili brandelli di quotidianità. Cavalli realizza foto di scorci urbani che sembrano appartenere a un regno muto e silenzioso in cui le figure sparute e loro ombre, comunicano un senso di attesa e di solitudine. Henri Cartier-Bresson, alle cui stranianti fotografie parigine possono essere accostate quelle urbane di Cavalli, sostiene che pittori e fotografi hanno a che fare con le stesse regole compositive e gli stessi problemi visivi e Cavalli dimostra di essere parimenti artista e di risolvere i problemi visivi con entrambi i linguaggi. Nelle sue fotografie questo si traduce nella capacità di far convivere il suo mondo interiore, il lirismo sospeso, la dimensione spirituale, l’iconografia affettiva degli oggetti, con l’organizzazione plastica delle forme, con il senso delle proporzioni e delle simmetrie, con la scansione ritmica e musicale degli elementi. Proprio l’epifania del reale, del frammento di quotidianità che il fotografo è in grado di cogliere e di dotare di senso grazie alla conoscenze dei propri mezzi, grazie ad una costruzione dell’immagine che non è mai forzata o accademica, impedisce di considerare artistica solo la produzione di nature morte fotografiche di Cavalli, riconoscendo, invece, questo merito anche alle fotografie di esterni, di vedute urbane, dove l’occhio del fotografo, è in grado di individuare e catturare brani di altissima poesia.