L’atmosfera di enigmatico silenzio, più volte invocata come precipua delle fotografie di Emanuele Cavalli, caratterizza, in realtà, tutta la sua produzione figurativa a partire dalle prime prove pittoriche. La pittura di Cavalli, rigorosa e sensuale, austera e morbida, è tutta percorsa da un impeto di mistero che si manifesta già nella serafica stasi dei primi ritratti, nell’assolata sospensione senza ombre di opere come La Siesta, 1928, nell’immobilità rarefatta degli interni e dei primi quadri di oggetti, fino ad esaltarsi e sublimarsi nella monumentalità senza tempo, quasi ancestrale, dei gesti e delle pose delle figure femminili in opere come La veste ,1934, o La Sposa, 1934. Proprio un’opera come La Siesta, immersa in un’abbacinante e sospesa luminosità estiva e bucolica priva di ombre, può essere assunta come paradigmatica di questa particolare atmosfera che la pittura, e la fotografia, di Cavalli sono in grado di evocare. Una pittura che viene indagata nella specificità dei suoi mezzi espressivi, nei toni, nei colori, nelle geometrie e nelle scansioni ritmiche. Cavalli riesce dunque a creare con perizia un universo figurativo intriso di mediterraneità, che risente della fascinazione per la Villa dei Misteri di Pompei, di una sapienza arcana, con uno sguardo rivolto alle più recenti sperimentazioni delle avanguardie parigine. Di pari importanza per la maturazione del suo linguaggio artistico è la lezione di Piero della Francesca, da cui assimila una monumentalità nuova, arcana e misteriosa che suggerisce un significato altro, recondito alle sue figure femminili immobili e come avulse dal tempo e dallo spazio contingenti. Questa stessa temperie mediterranea, sia pure in modo diverso, viene evocata anche dalle fotografie, in particolare da quelle scattate a Lucera negli anni ’50. Qui il clima di sospensione interrogativa e senza tempo viene prodotto proprio dall’abbacinante luce mediterranea in cui sono immerse le stesse opere pittoriche. Su paesaggi di abbaglianti nitore spiccano con forza le figure femminili vestite di nero che incedono in strade deserte, come in Lucera, anni ’50, in cui il profilo scuro della donna si staglia sul nitido candore delle pareti. Di particolare finezza risulta il brano, quasi da natura morta, composto dai bianchi panni stesi e dalle sedie sottostanti, che sembra esacerbare l’assoluto silenzio in cui è calata tutta l’immagine. Sono proprio questi elementi che permettono di avvicinare le fotografie di Cavalli a quelle di Cartier-Bresson e a quelle di altri esponenti del surrealismo fotografico. Come loro, infatti, Cavalli è attento indagatore dello spazio urbano, lo spazio della città, soprattutto Firenze, e quello più arcaico di Anticoli Corrado e di Lucera. Realizza immagini di raro lirismo anche fuori dallo studio, senza rinunciare alla magia delle nature morte. Nature morte non sono solo quelle composte in studio, ma anche quelle, numerosissime, che l’occhio attento e curioso di Cavalli è in grado di trovare e di selezionare proprio nella realtà urbana: sono gli splendidi primi piani di lampioni trasparenti, le file di cabine al mare a Senigallia, le tante poesie di finestre che, aperte o chiuse, sembrano tracciare le linee di una composizione di lirica astrazione, le suggestive file di panni stesi al sole, le sinfonie trasparenti di bottiglie, i veri e propri ritratti delle ruote e dei carri a Lucera. Cavalli non ha bisogno quindi solo di composizioni in studio per poter dimostrare la sua fine capacità di costruzione dell’immagine, la sua attenzione agli equilibri tonali. La sua cultura figurativa, il suo rigore compositivo, gli consentono di individuare frammenti apparentemente prosaici di realtà, di sottrarli alla loro contingenza e di inquadrarli in una struttura visiva coerente ed equilibrata, sempre animata da un’atmosfera straniante.