Al 1943 risale la serie di nove dipinti presentati da Emanuele Cavalli alla Quadriennale romana dell’anno seguente, per i quali posò Franca Danesi. La sfida che rivolgeva a se stesso era quella di riuscire ad armonizzare i valori tonali, in chiave dichiaratamente musicale, con la rappresentazione concreta della figura umana. Il limite del ritratto gli imponeva quindi di accordare le variazioni cromatiche ai toni dell’incarnato, cioè l’unico colore che accomuna tutte le opere della serie.
Sarebbe tuttavia inesatto considerare le opere della serie delle armonie di colori meri esercizi di ricerca estetica. Non è infatti secondaria, nei dipinti, la componente psicologica: con ogni variazione di tono Cavalli suggerisce efficacemente una sensazione o uno stato d’animo, dando prova così di una fine capacità introspettiva. L’armonia in bruno sembra evocare un sentimento malinconico; il nero, con la figura mascherata, rimanda all’imperscrutabilità della psiche, a cui naturalmente si contrappone il mistero e la purezza del bianco, con l’associazione della forma ovale del volto a quelle della natura morta con l’emblematica presenza delle uova, allusive alla fertilità; e così via.