Contrariamente a quanto si è spesso sottinteso liquidando in poche righe la produzione di Emanuele Cavalli dagli anni Cinquanta in poi, la realizzazione di nature morte con minime (ma significative) variazioni non costituiva per l’artista un ripiego, né il risultato di un esaurimento creativo. Ne era anzi pienamente soddisfatto e con convinzione le esponeva non solo alle numerose personali in gallerie private che tenne per tutto il corso della sua vita, ma anche alle grandi esposizioni italiane di richiamo internazionale. Come, ad esempio, alla Quadriennale del 1959, dove presentava una natura morta insieme ad un paesaggio e a un autoritratto. Nelle stesse sale si teneva una retrospettiva intitolata Sguardo alla giovane Scuola Romana dal 1930 al 1945, curata da Giorgio Castelfranco e Dario Durbè, ma Cavalli non era presente, così come diversi altri importanti artisti della “scuola romana”. Profondamente amareggiato, da quel momento Cavalli smise di partecipare sia alla Quadriennale romana, sia alla Biennale di Venezia, mostre alle quali era sempre stato chiamato ad esporre su invito. La sua pittura cominciava quindi a rivolgersi quasi interamente ad una cerchia di raffinati amatori, anche stranieri. Come il collezionista americano Herbert Barrows, docente di letteratura inglese, che ha lasciato in eredità alla University of Michigan le opere acquistate da Cavalli a partire dalla metà degli anni Cinquanta durante i suoi soggiorni fiorentini, tra cui Spugne di gomma.